08 Lug Piccioni, Grillo, La Russa: un unico denominatore…
È stata da poco battuta la notizia della presunta violenza sessuale commessa da Leonardo Apache, “Larus” in arte, diciannovenne figlio di Ignazio La Russa, il Presidente del Senato. La vittima sarebbe una sua compagna di liceo.
Ciro Grillo
Luglio di 4 anni fa – un altro figlio “d’arte” si sarebbe macchiato di questo orribile reato: stupro.
Stiamo parlando di Ciro Grillo, figlio di Beppe. C’è un dettaglio, non proprio trascurabile, che tuttavia pochissimi gli Italiani conoscono: la presunta vittima di Ciro Grillo denunciò la presunta violenza soltanto dieci giorni dopo il fatto e soltanto due mesi dopo la notizia uscì sui giornali…
…proprio alla vigilia, lo stesso giorno, in cui in Senato si sarebbe votato la fiducia al Conte Bis.
Secondo quanto si legge nel titolo de “La Stampa”* , quattro anni dopo la presunta violenza da parte di Ciro Grillo e dei suoi amici nei confronti di questa ragazza, modella di origini scandinave, sembrerebbe impossibile portare avanti il processo,
Piero “Morgan” Piccioni
In questi tre anni, in teatro, ho condiviso con migliaia di persone questa storia di Ciro Grillo rievocando le sinistre analogie con il Caso Montesi, per il quale venne inizialmente imputato, tra i colpevoli, anche tal Piero Morgan, detto “Il Biondino”.
Un musicista, un compositore di colonne sonore, che alla fine della sua brillante carriera firmò alcune tra le più famose della storia del cinema. Tuttavia quello di Piero Morgan era un nome d’arte, visto che si chiamava Piero Piccioni ed era il figlio di Attilio Piccione, il senatore democristiano Vicepresidente del Consiglio e, all’epoca della morte di Wilma Montesi, Ministro degli Esteri, nonché il più accreditato possibile successore di Alcide de Gasperi alla guida della DC e del Paese.
In parole povere: uno degli uomini più potenti del Paese, all’epoca.
Anche quello Montesi fu un processo estremamente periglioso.
Per motivi di ordine pubblico, venne trasferito da Roma a Venezia, dove la notte del 28 maggio del 1957 il procuratore capo della città lagunare, il dott. Cesare Palminteri, lesse la sentenza definitiva, quella che assolveva definitivamente Piero Piccioni e tutti gli altri imputati accusati di omicidio e occultamento di cadavere. Ci vollero quattro anni e tantissime udienze per arrivare a una sentenza che, almeno riguardo alla posizione del Piccioni, mise in evidenza ciò che da subito era stato comunque chiarissimo: la sua estraneità al fatto.
In realtà, e per quanto si sia cercato di riabilitarlo, il povero Attilio Piccioni, il quale si era dimesso dopo il coinvolgimento di suo figlio in questa vicenda, vide la sua carriera irreversibilmente compromessa: i ruoli pubblici che ricoprì successivamente a quella vicenda giudiziaria furono assolutamente minori rispetto alle velleità personali e al prestigio della sua storia politica.
Io faccio parte di quella schiera, decisamente esigua, di giornalisti e reporter italiani che sostengono che il Caso Montesi sia una di quelle vicende che cambiarono il destino e la storia del nostro Paese.
Una posizione questa che mi fece finire alla berlina di Indro Montanelli, il quale riteneva il Caso Montesi una vicenda più squallida che politica. Peccato che l’autore della Storia d’Italia sia morto sette anni prima della “confessione” di Pietro Ingrao, uno dei leaders storici del Partito Comunista Italiano e all’epoca del caso Montesi direttore dell’organo di stampa del partito, “L’Unità”.
La “confessione” di Pietro Ingrao
Pietro Ingrao, infatti, intervistato da un collega de “Il Riformista” ammise che fu Amintore Fanfani a suggerirgli di seguire il caso della 21enne romana morta a Castel Porziano nell’antica tenuta di Sant’Uberto di proprietà dei Savoia, pista che ci condusse, come ricordò Ingrao nel luglio del 2009, direttamente al figlio del senatore Piccioni.
E non fu sicuramente un caso che il congresso successivo al Caso Montesi, quello che si tenne a Napoli, vide il trionfo proprio di Fanfani e della sua corrente.
Ricordo che, nel corso degli anni, Giulio Andreotti ha ripetuto più volte che Fanfani era “il grande macchinatore del Caso Montesi”.
E forse con la morte di Wilma Montesi, la ragazza romana di 21 anni che sognava di entrare nel dorato mondo dello spettacolo, finì anche il sogno di Enrico Mattei, quello di rendere energeticamente indipendente la nostra amata Italia.
Rimanendo in attesa del terzo grado di giudizio come prevede il nostro ordinamento, sarebbe cosa sensata non istruire nessun altro processo nei confronti di chicchessia.
David Gramiccioli
*https://www.lastampa.it/cronaca/2023/07/06/news/processo_ciro_figlio_grillo-12926826/
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