22 Giu Titan e Titanic…
È la scomparsa a fare notizia non l’impresa, visto che è da più di vent’anni che l’uomo scende negli abissi dove giace il “Titanic”.
Era già accaduto nel 2000, quando un altro sommergibile, sceso a quasi 4 km di profondità, sfiorò la tragedia. A bordo c’era anche l’ex giornalista scientifico della ABC News Michael Guillen, che visse in prima persona quell’esperienza, raccontando di come l’imbarcazione fosse stata improvvisamente raggiunta da una forte corrente sottomarina che la spinse verso le eliche del “Titanic”.
Il “Titan” era già sceso due volte nella “zona di mezzanotte”, con esiti positivi.
Il punto.
Esplorare il relitto del “Titanic” è pericoloso?
Dall’oscurità alla pressione dell’acqua, ecco che cosa rende estremamente difficoltosa la visita al sito in cui giace il transatlantico e quali sono i rischi reali per i sommergibili come il “Titan”.
Quanto è pericoloso “visitare” il fondale marino e, nello specifico, il relitto del “Titanic”? Tanto, tantissimo. Di sicuro, dopo la scomparsa del sommergibile “Titan” – che proprio lì stava andando – la domanda è tornata di strettissima attualità. Una risposta, attraverso un lungo approfondimento, ha cercato di darla la BBC, che, innanzitutto, ha sottolineato un aspetto: gli oceani, Atlantico compreso, sono profondi e, dopo un po’, bui. Molto bui. La luce del sole, infatti, viene assorbita rapidissimamente dall’acqua e non riesce a penetrare in profondità. Oltre i 1.000 metri, qualsiasi oceano è in perenne oscurità. Tant’è che il “Titanic”, leggiamo, si trova in una regione conosciuta come “zona di mezzanotte”. E il motivo di questa denominazione è facilmente intuibile.
L’oscurità.
Chi, in precedenza, ha effettuato spedizioni al sito del relitto ha parlato di una discesa di oltre due ore nell’oscurità più totale. Con il fondo dell’oceano che, grazie alle luci del batiscafo, appare all’improvviso. E proprio le luci, a quelle profondità, garantiscono una linea visiva di pochi metri. Da qui le difficoltà in termini di navigazione. Il rischio maggiore ai comandi? Il disorientamento. Normale, logico.
Detto questo, è altresì vero che esistono mappe dettagliate del relitto e della zona in cui si trova. Mappe ottenute grazie a decenni e decenni di scansioni ad alta risoluzione. Sono state utili, negli anni, se non utilissime. Fornendo punti di passaggio. Per tacere del sonar, in grado di rilevare oggetti oltre il fascio di luce.
Non solo, i piloti di sommergibili si affidano anche alla cosiddetta navigazione inerziale, che utilizza un sistema di accelerometri e giroscopi per tracciare posizione e orientamento rispetto a un punto di partenza e a una velocità noti. Un sistema di cui il “Titan” è dotato. In particolare, il sommergibile di OceanGate dispone di un sensore acustico (Doppler Velocity Log) per stimare la profondità e la velocità del batiscafo rispetto al fondale.
I passeggeri dei precedenti viaggi con OceanGate, nonostante le premesse citate, hanno descritto quanto fosse difficile, una volta raggiunto il fondale, orientarsi. Mike Reiss, uno scrittore di commedie televisive che ha lavorato ai Simpson, ha partecipato a un viaggio con destinazione il relitto del “Titanic” l’anno scorso. “Quando tocchi il fondo, non sai davvero dove ti trovi”, ha detto alla BBC. “Abbiamo dovuto agitarci alla cieca sul fondo dell’oceano sapendo che il “Titanic” è lì da qualche parte, ma è così buio pesto che la cosa più grande sotto l’oceano era a sole 500 iarde di distanza e abbiamo passato 90 minuti a cercarla”.
La pressione.
Altro giro, altro problema. La pressione dell’acqua circostante. Più un oggetto si spinge in profondità nell’oceano, più questa pressione cresce. A 3.800 metri, dove giace il “Titanic”, il relitto e tutto ciò che lo circonda sopportano pressioni di circa 40MPa, 390 volte superiori a quelle in superficie. Urca. “Per mettere le cose in prospettiva, si tratta di una pressione circa 200 volte superiore a quella di uno pneumatico d’auto”, ha detto Robert Blasiak, ricercatore oceanico presso lo Stockholm Resilience Centre dell’Università di Stoccolma, al programma Today di Radio 4 della BBC. “Per questo motivo è necessario un sommergibile con pareti molto spesse”.
Le pareti in fibra di carbonio e titanio del sommergibile “Titan” sono state progettate per garantire una profondità operativa massima di 4.000 metri.
Le correnti.
Terzo punto, le correnti sottomarine. Che spazzano i fondali con forza. Anche se di solito non sono così forti come quelle che si trovano in superficie, possono comunque comportare il movimento di grandi quantità d’acqua. Possono essere determinate dai venti in superficie, che influenzano la colonna d’acqua sottostante, dalle maree in profondità o ancora dalle differenze di densità dell’acqua causate dalla temperatura e dalla salinità, note come correnti termoaline. Eventi rari, le tempeste bentoniche, che di solito sono legate a vortici in superficie, possono anche causare correnti potenti e sporadiche che possono spazzare via il materiale sul fondo marino.
Le informazioni sulle correnti sottomarine intorno al “Titanic”, diviso in due sezioni principali dopo che la prua e la poppa si separarono durante l’affondamento, provengono da ricerche che studiano i modelli del fondale marino e il movimento dei calamari intorno al relitto.
È noto che parte del relitto del “Titanic” si trova vicino a una sezione del fondale marino interessata da una corrente di acqua fredda che scorre verso sud, detta Western Boundary Undercurrent. Il flusso di questa “corrente di fondo” crea dune migranti, increspature e motivi a forma di nastro nei sedimenti e nel fango del fondo oceanico che hanno permesso agli scienziati di capire la sua forza. La maggior parte delle formazioni osservate sul fondo marino è associata a correnti relativamente deboli o moderate.
Le increspature di sabbia lungo il bordo orientale del campo di detriti del “Titanic” – lo schizzo di oggetti, arredi, attrezzature, carbone e parti della nave stessa che si sono sparpagliati durante l’affondamento – indicano la presenza di una corrente di fondo da Est a Ovest, mentre all’interno del sito del relitto principale, secondo gli scienziati, le correnti tendono da Nord-Ovest a Sud-Ovest, forse a causa dei pezzi più grandi del relitto, che ne alterano la direzione.
A Sud della sezione di prua, invece, le correnti sembrano particolarmente mutevoli e vanno da Nord-Est a Nord-Ovest a Sud-Ovest. Molti esperti sostengono che l’azione di queste correnti finirà per seppellire il relitto del “Titanic” nei sedimenti.
Gerhard Seiffert, un archeologo marino di profondità che ha recentemente guidato una spedizione per la scansione ad alta risoluzione del relitto del “Titanic”, ha dichiarato alla BBC di non ritenere che le correnti nell’area siano abbastanza forti da rappresentare un rischio per un sommergibile, a condizione che sia alimentato: “Non sono a conoscenza di correnti che rappresentino una minaccia per qualsiasi veicolo d’altura funzionante nel sito del “Titanic”” ha detto. “Le correnti, nel contesto del nostro progetto di mappatura, rappresentavano una sfida per la mappatura di precisione, non un rischio per la sicurezza”.
Il relitto.
Quarto punto, il relitto stesso. Dopo oltre cento anni di permanenza sul fondo marino, il “Titanic” si è gradualmente degradato. L’impatto iniziale delle due sezioni principali della nave, quando si scontrarono con il fondale marino, ha deformato e distorto ampie sezioni del relitto. Nel corso del tempo, i microbi che si nutrono del ferro della nave hanno formato dei «grumi di ruggine» a forma di ghiacciolo e stanno accelerando il deterioramento del relitto. In effetti, gli scienziati affermano che la maggiore attività batterica sulla poppa della nave – dovuta in gran parte al maggior livello di danni subiti – ne stia causando il deterioramento quarant’anni più velocemente rispetto alla sezione di prua.
“Il relitto crolla continuamente, soprattutto a causa della corrosione” ha detto Seiffert. “Ogni anno un po’ di più. Ma finché si mantiene una distanza di sicurezza, nessun contatto diretto, nessuna penetrazione attraverso le aperture, non ci si può aspettare alcun danno”.
I più grandi di questi eventi – come quello che guastò i cavi transatlantici al largo delle coste di Terranova nel 1929 – sono innescati da eventi sismici come i terremoti. Il rischio di questi eventi è sempre più evidente, anche se non vi è alcuna indicazione che un evento del genere sia coinvolto nella scomparsa del sottomarino “Titan”.
Nel corso degli anni, i ricercatori hanno individuato segni che indicano che il fondale marino intorno al relitto del “Titanic” è stato colpito da enormi frane sottomarine. Ma in un passato lontano. Enormi volumi di sedimenti sembrano essere scesi a cascata lungo il pendio continentale da Terranova per creare quello che gli scienziati chiamano un “corridoio di instabilità”. L’ultimo di questi eventi “distruttivi” dovrebbe essersi verificato decine di migliaia di anni fa, creando strati di sedimenti spessi fino a cento metri. “Ma si verificano anche molto raramente”, ha affermato David Piper, ricercatore di geologia marina presso il Geological Survey of Canada, che ha trascorso molti anni a studiare il fondale marino intorno al “Titanic”. Piper ha paragonato tali eventi all’eruzione del Vesuvio o del Monte Fuji per quanto riguarda la frequenza con cui potrebbero verificarsi: nell’ordine di una volta ogni decine di migliaia o centinaia di migliaia di anni.
Altri eventi, noti come correnti di torbidità, in cui l’acqua si carica di sedimenti e scorre lungo la scarpata continentale, sono più comuni e possono essere innescati da tempeste. “Mostriamo un intervallo di ripetizione di forse cinquecento anni” ha detto ancora Piper. Ma la topografia del fondale marino dell’area probabilmente indirizzerebbe qualsiasi flusso di sedimenti verso una caratteristica nota come “Titanic” Valley, il che significa che non raggiungerebbe affatto il relitto.
Sia Seiffert che Piper hanno concluso che difficilmente un evento del genere ha avuto un ruolo nella scomparsa del sommergibile “Titan”.
Ci sono altre caratteristiche geologiche intorno al sito del relitto che devono essere ancora esplorate. In una precedente spedizione al “Titanic” con OceanGate, Paul-Henry Nargeolet, ex sommozzatore della Marina francese e pilota di sommergibili, nel 1996 visitò un misterioso puntino rilevato dal sonar. Si rivelò essere una barriera rocciosa, ricoperta di fauna marina. Sperava di visitare un’altra macchia che aveva rilevato vicino al relitto del “Titanic” nelle ultime spedizioni.
Mentre la ricerca dell’imbarcazione scomparsa continua, ci sono al momento pochi indizi su cosa possa essere successo al “Titan” e al suo equipaggio. Ma in un ambiente così difficile e inospitale, i rischi di visitare il relitto del “Titanic” sono rilevanti oggi come lo erano nel 1986, quando le prime persone a mettere gli occhi sull’imbarcazione dopo il suo affondamento intrapresero il viaggio verso gli abissi (la primissima spedizione, nel 1985, fu eseguita tramite un sottomarino comandato a distanza).
David Gramiccioli
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