Umanesimo e Nuovo Umanesimo

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Umanesimo e Nuovo Umanesimo

L’interrogazione sulla condizione dell’essere umano e sul suo destino porta inevitabilmente a rispolverare il concetto di “umanesimo”.

Il “vecchio mondo” così come lo abbiamo conosciuto non esiste più: i suoi pilastri portanti stanno crollando e non abbiamo idea di cosa potrà sorgere dalle sue macerie.
Stiamo vivendo tempi particolari – un’epoca che qualcuno definisce “buia”, paragonandola al periodo della caduta dell’Impero Romano, un momento che altri sostengono essere “stimolante e di grandi rivolgimenti e innovazioni”.

In qualunque maniera ci si ponga o ci si senta – ottimisti o pessimisti che si possa essere, non si può negare che la fase storica che stiamo vivendo sia un’età di passaggio, una sorta di scoglio da oltrepassare, un “salto” da compiere per passare da un qualcosa di noto e accettato (non dico “accettabile”, non da tutti e per tutti, per lo meno) a un “qualcosa d’altro” che sta faticosamente nascendo dalla distruzione del precedente.

In un contesto di crisi e di cambiamento, il problema dell’uomo e del suo destino ritorna a essere centrale; infatti, non a caso oggi sempre più spesso si parla di Umanesimo e di Nuovo Umanesimo.
Le parole “nuovo umanesimo” richiamano alla mente l’idea d’un qualcosa di “antico” e, al tempo stesso, di “nuovo”, l’idea di un mondo nuovo, di un modello e di uno stile di vita più umani, intesi come la necessità di modificare un comportamento e una modalità di vita ormai invivibile per l’uomo e per il quale anche la Natura paga un prezzo insostenibile.

La parola “nuovo” fa anche ricordare l’esistenza d’un umanesimo precedente, “vecchio”, inesorabilmente superato.
Nel V secolo avanti Cristo, il filosofo Protagora – considerato anche il padre della Sofistica – affermò che “l’uomo è misura di tutte le cose, di ciò che sono per ciò che sono e di ciò che non sono per ciò che non sono”(1) . Tale asserzione, che riassume la filosofia di Protagora, pone l’uomo (e non più la natura) al centro dell’universo: in seguito e in netto contrasto con le altre correnti filosofiche e con la comune opinione popolare, Platone la interpretò nel senso più ampio della relatività individuale, nel senso che non esiste una realtà oggettiva e che qualunque cosa l’individuo/l’uomo ritenga essere la verità è comunque vera.

Quindi, rimanendo l’uomo il centro di giudizio, l’uomo stesso avrebbe a che fare non con la realtà che lo circonda ma solamente con il “fenomeno” cioè con ciò che percepisce, con ciò che gli appare.

 

Nei secoli, la tesi di Protagora è stata ripresa e filologi e filosofi hanno discusso e ri-discusso riguardo il suo senso filosofico; le ipotesi più accreditate sono tre:
• l’uomo è inteso come il “singolo individuo” e le cose sono gli “oggetti percepiti con i sensi” – quindi: le cose appaiono diversamente a seconda delle persone
• la parola uomo è intesa in senso universale mentre al termine cose viene riferito il significato più ampio di “realtà” – quindi: i singoli individui giudicano a realtà mediante parametri comuni
• la parola uomo indica la “comunità umana” mentre le cose sono i “valori che ne stanno alla base” – quindi: ciascuna persona valuta le cose e la realtà secondo le abitudini, le credenze e la mentalità del gruppo sociale cui appartiene.

Qualcuno ha anche proposto una sintesi delle tre diverse ipotesi: l’uomo è misura delle cose ai vari livelli della sua umanità. L’uomo, quindi, sarebbe misura delle cose e della realtà in primo luogo come singolo, come civiltà in seconda battuta e da ultimo come specie.

Non esisterebbe quindi LA realtà/verità assoluta bensì molteplici realtà/verità a seconda degli individui.

 

Non è questo il luogo né il momento per entrare in discussione riguardo al “vero significato” dell’asserzione di Protagora: la cosa essenziale è che la sua posizione è una forma di umanesimo e che da questo momento in poi, l’uomo diviene il “centro”, il soggetto del discorso, il metro di valutazione.
Un bel “terremoto” per l’epoca!

Dopo la caduta dell’Impero Romano e durante il Medioevo, periodo durante il quale la Chiesa si assume completamente il compito di trasmettere la cultura e l’istruzione, nasce in Occidente – con epicentro in Italia – un fenomeno culturale che punta alla riscoperta della cultura dell’antichità classica greco-romana, un movimento culturale che rimette al centro la capacità di ragionare dell’uomo senza per questo dimenticare i valori cristiani: l’Umanesimo.
Tradizionalmente, si colloca lo sviluppo dell’Umanesimo tra la seconda metà del XIV secolo e la fine del XV secolo; tale movimento prende il nome da “humanae litterae”, le discipline letterarie, filosofiche e storiche tipiche dell’uomo su cui si focalizzarono gli studiosi del Quattrocento. Furono proprio questi letterati a reintrodurre nella cultura occidentale lo studio dei classici greci e latini, per secoli dimenticati nelle biblioteche dei monasteri e noti solo a un manipolo ristretto di studiosi.

L’Umanesimo non si afferma come cultura anti-cristiana ma – ovviamente! – un’interpretazione nuova alla dignità dell’uomo e alla vita terrena rispetto al periodo medievale.

Mediante lo studio dei testi antichi, i filologi (ricordiamo che la Filologia nesce appunto in questo periodo) danno inizio a un processo di nuova sintesi culturale, le cui ricadute si registrano anche nella sfera politica e religiosa(2).
Con l’Umanesimo, quindi, si riscoprono i Classici, si afferma il primato della cultura e si ri-propone la centralità dell’uomo.

Attorno a questi valori si strutturano il nuovo pensiero e il nuovo modello di uomo.
L’uomo, per definizione, deve essere “colto”.
Gli Umanisti, infatti, studiano i Classici con il desiderio di far rivivere con lo studio e con l’imitazione le virtù del mondo antico, mettono l’accento sulla capacità dell’uomo di agire nella vita civile e politica ed elaborano nuovi metodi educativi per prepararlo a questo compito.

Il valore della cultura rimane assoluto per secoli: gli stessi governanti delle varie nazioni venivano scelti tra persone di elevata cultura.

 

Venivano scelti, appunto.

Ora, le cose stanno cambiando. Mi correggo: sono già cambiate!

L’umanità ha finora conosciuto tre modalità di trasmissione della cultura:
• in epoca antica, la trasmissione orale
• le trasmissione mediante gli scritti
• negli ultimi anni, la trasmissione mediante la tecnologia.

La rivoluzione tecnologica ha messo in crisi il modello dell’uomo proposto dell’Umanesimo: ormai, non ci si forma più solamente sui libri, ma anche (e soprattutto?) attraverso i dispositivi tecnologici, che cambiano la mente e le abitudini dell’uomo.
Lettura e scrittura non sono più il mezzo principale di formazione della cultura delle persone e la mancanza di cultura non è più vissuta con disagio: nel nostro mondo, la cultura non ha più il primato!

Anche la razionalità scientifica, che consente di comprendere il mondo, sembra avere perso il suo primato: in questo particolare momento storico, il “sentire”, la “sensazione di” e l’opinione personale sembrano affermarsi come un diritto.

Stiamo vivendo un’epoca di grandi rivolgimenti.

 

L’equilibrio uomo-natura si è rotto: condotte irresponsabili stanno portando al degrado irreversibile di nostra Madre Terra, e il conto viene pagato dall’intera umanità.

La xenofobia colpisce tutte le nazioni: le identità etniche vengono aizzate le une contro le altre.
Qualcosa sembra essersi spezzato nel tessuto della società: abituati a lavorare insieme, a vivere insieme in comunità, ci stiamo disgregando.

Un individualismo sempre più estremo sta annientando i valori della comunione e della solidarietà: ci sentiamo, e siamo, sempre più soli e isolati.
Tutto viene messo in discussione: dalle modalità di lavoro al modo di comunicare e di vivere, ogni singolo atto della vita quotidiana dev’essere continuamente riadattato in base alle ultime innovazioni tecnologiche! Tale radicale accelerazione ed espansione a livello globale del cambiamento sembra assolutamente fuori controllo e l’uomo, già centro del mondo, è ora al centro d’un tornado di cambiamenti, che generano incertezza e insicurezza, se non vere e proprie paure. E a causa della paura e dell’insicurezza l’individuo tende a barricarsi nel proprio piccolo mondo, ad aggrapparsi a improbabili “capi” apparentemente forti, sicuri e concreti, ma spesso solamente capaci di usare le parole e… chi gli si affida!

L’intera umanità sta vivendo una pericolosa deriva e, come detto all’inizio, da più parti si invoca un Nuovo Umanesimo.

 

L’Umanesimo portò a una svolta epocale, a un cambio di rotta rispetto al “ciò che prima era”.
Il Nuovo Umanesimo dovrà presentare un “nuovo modello di sviluppo”, di sviluppo sostenibile dal punto di vista personale, sociale e ambientale, perché solo in un nuovo modello di sviluppo si possono realizzare le condizioni per la dignità e la libertà di ogni essere umano.

Il filosofo e sociologo polacco Zygmunt Bauman afferma: “La globalizzazione ha raggiunto ormai il punto di non ritorno. Ora dipendiamo tutti gli uni dagli altri, e la sola scelta che abbiamo è tra l’assicurarci reciprocamente la vulnerabilità di ognuno rispetto ad ognuno e l’assicurarci reciprocamente la nostra sicurezza condivisa. Detto brutalmente, nuotare insieme o affogare insieme”.

Il sociologo Mirco Mariucci scrive: “Un mondo migliore per tutti è possibile, qui e ora. Ma per costruirlo dobbiamo iniziare a cooperare , impiegando la nostra intelligenza per raggiungere l’unico vero e nobile fine: il benessere di tutti gli esseri viventi”.

Siamo pronti per il nuovo “terremoto”?
Siamo pronti per il salto quantico che ci aspetta?

 

  1. Platone, “Teeteto”
  2. Basti pensare alle conseguenze legate alla scoperta di Lorenzo Valla in merito alla “Donazione di Costantino”… Nel 1440, l’italiano Lorenzo Valla fece notare che la lingua in cui è scritto il “Constitutum Constantini” (“Donazione di Costantino”) è molto diversa dal latino in uso nel IV secolo…

 

 

 

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